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Perfezione tecnica vs espressione artistica


Inauguriamo il nuovo anno parlando di una delle sensazioni più strane che potranno mai capitarvi visitando le esposizioni o sfogliando libri di fotografia. Sto parlando di quel misto fra stupore, delusione e invidia, che coglie il fotoamatore medio di fronte a immagini d’autore, scattate in modo apparentemente casuale. Di solito, la prima cosa che viene in mente è: “Ma questa foto l’avrebbe potuta fare anche mio nipote di tre anni!” 

Noi appassionati, raggiunto un certo livello di abilità, tendiamo a dare la massima importanza a quelli che sono gli aspetti più tecnici delle foto; rivediamo decine di volte i nostri archivi per ripulirli dalle immagini fuori fuoco, sovraesposte, sottoesposte e mal composte. Ci diamo alla cancellazione folle, tramite software, di tutti gli elementi di disturbo possibili e immaginabili finiti a tradimento nell’inquadratura, dai soliti rami ai rifiuti sul selciato che non avevamo visto in fase di scatto. In breve, cerchiamo in ogni modo la massima perfezione nei nostri scatti e ci sorprende scoprire che, invece, molti autori famosi non sembrano preoccuparsi troppo di tutto ciò. 

 

Vi sottopongo ad esempio questa foto scattata da Robert Adams:

 

Fonte: (http://www.artnet.com/artists/robert-adams/sand-creek-near-denver-colorado-a-BsWuKmrzkROXXX5dpyM4DA2)

L'attenzione viene catturata dall’aereo nell’angolo in alto a destra, malamente tagliato. Potremmo pensare che il fotografo avesse dovuto scattare qualche frazione di secondo dopo, con il velivolo visibile interamente nel fotogramma. Vi sfido ad affermare che, avendo nel vostro archivio un’immagine come questa, non l’avreste cancellata… Eppure la stessa fa parte di un progetto fotografico, “Lungo i fiumi”, del quale è stato pubblicato anche un libro. 

 

Volendo continuare, osserviamo questa foto di Luigi Ghirri, facente parte della sua serie dedicata al paesaggio italiano:

Fonte: (https://www.artribune.com/report/2013/05/luigi-ghirri-ogni-cosa-e-illuminata/attachment/sisgnorini-003/)

Potremmo restare stupiti dalla collocazione quasi centrale tanto del soggetto quanto dell’orizzonte. Tutti i manuali di fotografia consigliano di collocare il soggetto verso uno dei terzi del fotogramma, e tuttavia Ghirri ce lo propone in posizione centrale; nonostante ciò, la foto è una delle più apprezzate e famose realizzate da questo fotografo, prematuramente scomparso nel 1992. 

 

Ma se proseguiamo nell’esaminare le competenze tecniche di alcuni autori, ci accorgiamo che non vi è soltanto una violazione, per così dire, delle regole base della composizione; alcuni di loro sembrano addirittura avere difficoltà con l’esposizione e l’uso del flash.

E’ emblematica questa immagine di William Eggleston:

 

Fonte: (https://thestreetrover.it/2020/04/21/il-dietro-le-quinte-della-famosa-fotografia-di-eggleston/)

Oltre alle linee diagonali composte in modo approssimativo, possiamo notare diversi elementi di disturbo oltre alla stupefacente sparata del flash sul soffitto e sul supporto della lampadina. 

 

Dopo aver visto tutte queste cose assieme, il fotoamatore medio potrebbe convincersi che, per diventare un artista affermato a livello mondiale, non serva tanto un abilità tecnica sopraffina quanto avere le giuste conoscenze fra le persone che “contano” nel mondo dell’arte e delle mostre; Confrontando le nostre foto con quelle “artistiche” potremmo essere tentati dal pensare che siano le prime a meritare di essere esposte, in quanto fatte “meglio” di quelli scattate da fotografi ben più famosi. 

Per puro spirito polemico verso l’estabilishment artistico, sarei tentato di dare ragione a chi la pensa così; tuttavia questa è solo una parte della verità, che è molto più complessa.

Tutte le foto che abbiamo appena visto contengono infatti qualcosa che, per quanto possa sfuggire a una prima occhiata, emerge più o meno chiaramente osservando l’immagine con attenzione e conoscendo meglio il lavoro di chi le ha prodotte. Le immagini d’autore si pongono infatti l’obiettivo di trasmettere un messaggio, andando sapientemente a colpire il nostro senso più sviluppato: la vista. 

 

Ma andiamo con ordine; se nella foto di Robert Adams ci colpisce l’aereo sgraziatamente tagliato all’angolo del fotogramma, dovremmo sapere che l’autore non era affatto intenzionato a fotografare un velivolo di passaggio, bensì a mostrarci i cambiamenti avvenuti nell’Ovest americano a causa dell’urbanizzazione e dell’antropizzazione dell’ambiente. Nella foto, intitolata topograficamente “Sand Creek vicino a Denver, Colorado”, gli elementi naturali del paesaggio si contrappongono a quelli introdotti dall’uomo; proprio il taglio sgraziato del velivolo, che cattura subito lo sguardo, ci vuole infatti trasmettere un senso di disagio per questo elemento fuori posto. Ma non è l’aeroplano in quanto tale a essere “fuori posto”, bensì in quanto rappresentazione della presenza umana nell’ambiente naturale. L’aereo getta un’ombra sul paesaggio, che potrebbe essere interpretata come un presagio nefasto per la natura. La contrapposizione tra natura ed elemento umano avviene sulla diagonale, tra il suddetto aereo in alto a destra e una pianta fiorita in basso a sinistra. Insomma, a farla breve, se andassimo a studiare l’opera di Robert Adams, scopriremmo quanto egli, nell’eterna lotta fra urbanizzazione e preservazione dell’ambiente naturale, sia schierato dalla parte di quest’ultima.  

Passando alla foto di Luigi Ghirri, dal titolo “Marina di Ravenna, 1986”, se non ci piace la composizione centrale possiamo ritagliare mentalmente l’immagine al solo spazio contenuto all’interno di quella sorta di “cornice”; resteremo forse stupiti di trovarvi un’immagine perfettamente composta, un paesaggio minimalista dove la regola dei terzi viene scrupolosamente rispettata. Le cornici (porte, finestre e simili) sono ben presenti nella produzione fotografica di Ghirri; con queste egli vuole rappresentare un mondo nascosto all’interno di quello reale, facendo una sorta di “foto della foto”. La cornice assume anche la rappresentazione del mirino della macchina fotografica, un’area delimitata all’interno della quale si compone l’immagine; e per estensione, della condizione stessa del fotografo, costretto sempre a scegliere cosa immortalare fra tutto quello che vede. 

L’immagine di William Eggleston, al di là delle sue imperfezioni tecniche, ci colpisce ugualmente per la forza del colore. Intitolata semplicemente “Soffitto rosso”, rientra di prepotenza nella filosofia con cui questo autore si è confrontato con la fotografia a colori, in un’epoca (anni ‘60 e ‘70) in cui la stessa non godeva di grande considerazione tra la maggior parte dei fotografi. L’idea alla base di molte immagini di Eggleston consiste nel proporre un soggetto banale in un contesto dominato del tutto, o quasi, da un solo colore. Nella foto in questione, il rosso la fa da padrone; è senza dubbio uno dei colori più forti, in grado di trasmettere una serie di emozioni intense all’osservatore. Difficilmente l’immagine ci darà un senso di quiete, casomai potremmo provare disagio. E’ del resto il colore del sangue, e quelli stessi fili elettrici sembrano vene. La lampadina poi, sistemata alla meglio (così come lo stesso impianto elettrico) e che sembra sul punto di cadere, contribuisce a rendere in pieno l’atmosfera di inquietudine e provvisorietà, come se da un momento all’altro dovesse succedere qualcosa, ed è facile immaginarsi un omicidio, o qualche altro crimine, aver luogo in quella stanza rossa. 

Queste interpretazioni sono soltanto mie idee personali, sebbene non sia improbabile riscontrare da parte altrui opinioni simili nei confronti delle suddette foto. L’aspetto forse più interessante del messaggio contenuto in una foto è che, nel momento in cui questa viene mostrata a qualcuno, costui può anche darne un’interpretazione differente dalle intenzioni dell’autore. Quando le impressioni dell’osservatore coincidono con l’idea che il fotografo voleva trasmettere, siamo davvero di fronte a grandi foto.

Tornando però al discorso iniziale, appare evidente cosa contraddistingue le fotografie “d’arte” da quelle che non lo sono. Nelle prime c’è l’intenzione di trasmettere un messaggio, o una sensazione, all’osservatore; invece molte delle nostre foto amatoriali (ma non solo) risultano una mera esercitazione, in cui l’unico scopo evidente è l’applicazione corretta delle varie tecniche. Si tratta di foto in cui conta solo il “come” si sono realizzate, ma è del tutto assente il “perché”. 

L’intera produzione di un determinato autore presenta uno stile unico e inconfondibile, che da solo costituisce la vera e propria firma del fotografo (una cosa ben diversa da un semplice “watermark”). Sono sicuro che alcuni di voi si staranno domandando in che modo si possa trovare il proprio stile, per scattare foto che siano opere uniche. Ovviamente non saprei come rispondere; ho il dubbio che gli artisti impieghino spesso una vita intera nel perfezionare il loro modus operandi, salvo poi, in certi casi, rinnegarlo del tutto. Ma una cosa è certa: possiamo imparare a osservare meglio le immagini. Esistono innumerevoli foto famose a cui possiamo accedere tramite la rete, senza contare quelle dei nostri stessi archivi, create da noi o dalle persone che conosciamo; proviamo a guardarle in modo diverso, più attento, per capire se possono trasmetterci qualcosa che vada oltre al semplice ricordo di quel momento. Forse ci si aprirà un piccolo mondo del tutto inaspettato e interessante contenuto all’interno di quelle foto.

A presto!
Alessandro "Prof. BC" Agrati  @agratialessandro


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