Abbiamo conosciuto Gianfranco Lunardo tramite il suo profilo Instagram. Gianfranco pratica la fotografia stenopeica, realizzando immagini paesaggistiche in bianco e nero dal caratteristico aspetto soffuso. Si tratta di una tecnica “lenta”, che riporta alle origini della fotografia e al principio della camera oscura, in cui le foto vengono ottenute grazie a un piccolo forellino e tempi di esposizione molto lunghi.
Chia (VT) © Gianfranco Lunardo |
Ho iniziato a fotografare circa 43 anni fa. All’inizio, riprendevo un po' di tutto ma, dopo aver visitato VENEZIA 79 – LA FOTOGRAFIA, e aver visto in mostra fotografi del livello di Henri Cartier-Bresson, Robert Frank, Robert Capa, ma anche Alfred Stieglitz, Eugene Atget e così via, ho intuito che una macchina fotografica, oltre che semplice divertimento, poteva essere uno strumento di documentazione che dava la possibilità di esprimere anche la propria interiorità.
Interessato all’etnografia, ho iniziato a rivolgere la mia attenzione alle feste popolari, ai mestieri in via d’estinzione, al monachesimo di clausura (sia maschile che femminile) e alla vita che si svolgeva nelle strade, collaborando anche con il Centro Interdipartimentale di documentazione Demo-Antropologica (Università della Calabria). Questo finché non è stata promulgata la legge sulla privacy; a quel punto, ho smesso di fotografare le persone.
Per fotografare il paesaggio ho optato per un mio antico amore che avevo solamente sfiorato, la fotografia stenopeica.
C’è un genere fotografico che preferisci? Quali sono i tuoi autori di riferimento?
All’inizio, come già detto, fu il reportage e la fotografia sociale con speciale riferimento ai fotografi francesi, uno su tutti Cartier-Bresson. Ora che mi sono dedicato al paesaggio in tutte le sue declinazioni e al solo uso della fotografia stenopeica, trovo molta ispirazione nelle immagini Michael Kenna, Mimmo Jodice e della bravissima Flore. Per quanto riguarda il colore, che non uso, un maestro è Luigi Ghirri.
Sperlonga © Gianfranco Lunardo |
Le tue immagini, nonostante rappresentino soggetti perlopiù statici, raccolgono in sé una vena di dinamismo. Raccontaci di come scegli i tuoi soggetti e le condizioni di luce che preferisci per fotografarli.
Non fotografo molto, circa quindici rulli 6x6 l’anno; ogni scatto è sempre frutto di uno stato emozionale. Come suggeriva Walter Benjamin, cerco di riconoscere lo straordinario come quotidiano e il quotidiano come straordinario. Cerco l’armonia tra ciò che ho dentro di me e ciò che vedo; inoltre, cerco il silenzio e la sorpresa. Quindi prima di posizionare cavalletto e fotocamera, prima dello scatto è l’occhio interiore che scopre la bellezza di ciò che lo circonda. Nella fotografia stenopeica, ma non solo, l’ispirazione è un momento fondamentale, una memoria che si fa presente e che ha bisogno di silenzio. Riprendo la meraviglia che il soggetto suscita in me e non il soggetto per sé stesso.
La luce per trasmettere emozioni è fondamentale, specie in una fotografia dove non c’è l’ausilio di lenti che fanno da filtro, ma solo un minuscolo foro. Raramente fotografo con un cielo terso. Adoro il cielo coperto e la luce omogenea senza forti contrasti. Il movimento lo trasmetto attraverso le nuvole o nel mosso che il vento imprime alle fronde degli alberi. Anche l’acqua nel suo scorrere è perfetta e i tempi d’esposizione, sempre lunghi, fanno il resto.
Celleno (VT) © Gianfranco Lunardo |
I soggetti che ritrai sono spesso consumati, parziali, in definitiva "rotti". Ad esempio, le rovine di un edificio, un albero per metà secco… Ci spieghi il motivo di questa scelta creativa?
Guardando rovine antiche o meno antiche, resti di edifici o fattorie abbandonate all’incuria del tempo, mi chiedo sempre quante cose potrebbero raccontare, quanta vita è stata vissuta tra quelle mura, quanti sacrifici per costruirle, quante aspettative e quanti sogni di chi li ha vissuti. E pensando a loro, ecco che la fantasia prende il sopravvento. Da quei pochi resti, dall’atmosfera che ne scaturisce, ecco l’armonia e la bellezza che sento dentro e voglio conservare, così la fotografo. Ritroverò poi tutte quelle sensazioni nel momento in cui guarderò il negativo sviluppato e ancora quando la foto sarà stampata. Altro mio soggetto preferito è l’acqua che compare in tantissimi miei scatti, che si tratti di fiumi, laghi o del mare. È un amore che mi porto dentro fin da piccolo. In fondo, penso di essere alla ricerca del mio tempo perduto, delle sensazioni e delle gioie vissute un tempo. E il mondo visto da un forellino è un mondo senza tempo, silenzioso e fatato con un’atmosfera tutta sua. Il realismo che mi trovo davanti, grazie ad una camera stenopeica, viene contaminato; la precisione e la nitidezza sono limitati e ne risulta un’atmosfera eterea e poetica.
Canale Monterano © Gianfranco Lunardo |
Parlaci un po’ della tua tecnica compositiva. Da cosa deriva la scelta del formato quadrato?
Le mie sono foto silenziose. Quattro angoli uguali trasmettono un senso di pace, tranquillità e serenità, cose che cerco sempre di trasmettere a chi le guarda. Anche per questo la maggior parte delle mie fotografie hanno l’orizzonte che taglia in due parti uguali il fotogramma. Nel formato quadrato c’è equilibrio, e nell’equilibrio, armonia. Come nei contrasti, mai esasperati.
Di tecnica vera e propria, nella fotografia stenopeica, non penso ne serva poi molta. Certo è importante conoscere le regole della composizione che reputo fondamentale. È nel momento che si decide l’inquadratura che la foto può acquistare tutta la sua forza o risultare debole; bisogna passare dal guardare al vedere. Come già detto, cerco sempre di portare sulla pellicola le mie emozioni e la mia sensibilità. Voglio che mi si riconosca attraverso le foto per quel che sono interiormente.
Aci Trezza © Gianfranco Lunardo |
Che tipo di attrezzatura utilizzi solitamente per fotografare? Saremmo curiosi di conoscere qualche specifica tecnica sul funzionamento delle fotocamere stenopeiche e sul calcolo dell’esposizione.
Ho iniziato usando una fotocamera della Zero Image 6x6 acquistata su Internet. In seguito, ho avuto la fortuna di conoscere Riccardo Gazzarri, che le fotocamere le costruisce interamente a mano e che mi degna della sua amicizia. Dapprima ho acquistato da lui una panoramica 6x18, poi una multiformat (6x6, 6x9, 6x12) e una grande formato 20x25. Poi ha costruito, dietro mia richiesta, una fotocamera 6x6 (battezzata 366 f130) dove il 3 sta ad indicare la “lunghezza focale”, in questo caso 30mm, e 66 il formato del negativo; una super grandangolare quindi, come tutte le stenopeiche. Avendo trovato delle difficoltà ad avvicinarmi a soggetti non facilmente raggiungibili che avrei voluto fotografare, gli ho chiesto se potesse costruirmene una con una lunghezza focale normale. Così è nata quella che abbiamo chiamato 866 f240, equivalente ad un 80mm sempre sul formato 6x6.
Da allora le fotocamere che ho sempre con me sono la 366 e la 866. La seconda, vista la distanza tra il foro e la pellicola, risulta meno nitida della 366 ma, specie con il cielo limpido, dà risultati davvero affascinanti e particolari.
Per quanto riguarda l’esposizione, uso un vecchio esposimetro Gossen Lunalite. Al tempo di lettura che mi dà, aggiungo sempre un terzo di secondi in più a causa dell’effetto di reciprocità della pellicola quando si usano tempi più lunghi di qualche secondo. Una volta deciso il tempo, in base al diaframma della fotocamera in uso, non debbo fare altro che togliere la copertura dal foro ed attendere. La stenopeica è la fotografia della pazienza, della meditazione e regala il tempo di guardarsi intorno, di rilassarsi. Ovviamente, è fondamentale l’uso del cavalletto.
Sviluppo da me i rulli esposti ma, non avendo più una camera oscura, scansiono tutti i fotogrammi. Con Photoshop, non sapendolo usare, mi limito a pulire i fotogrammi e sistemarli agendo leggermente su luminosità e contrasto. La tecnologia di mia conoscenza si ferma qui.
Vulci © Gianfranco Lunardo |
Di tutte le foto che hai scattato, quale preferisci? Parlaci della sua genesi.
Considero tutte le foto che scatto una parte di me e tantissime sono quelle che preferisco. Ognuna, al momento della ripresa e non solo, ha suscitato in me emozione, sorpresa e meraviglia. Se ne dovessi scegliere una sola, penserei all’albero che si staglia nel cielo in un campo arato. È una foto che considero completa: nei solchi c’è la presenza dell’uomo, la terra arata è un momento di rigenerazione ed esempio del tempo che scorre mentre l’albero ancora spoglio rappresenta l’unione tra terra e cielo. Intorno pace, silenzio, armonia, vita.
E l’effetto che me la fa tanto amare riguarda proprio il cielo. Era la prima volta che usavo la 866 e volevo finire il rullo così da vederne poi i risultati. Avevo un’ultima foto da fare. Nonostante fosse marzo, alle 11 del mattino passate, il cielo era terso e faceva un caldo terribile. Ho visto quell’albero solitario e gli alberi sono una mia passione. Sudando, ho piazzato il cavalletto, montato la 866 e scattato la foto. Già mi sembrava bella così, ma dopo aver sviluppato il rullo, che sorpresa! Il cielo completamente sereno è apparso come se fosse in procinto di scatenare un temporale. Ho scoperto così una delle particolarità di questa fotocamera e imparato, con l’esperienza, i risultati che potevo ottenere.
Le tue fotografie sono attualmente esposte in qualche mostra o lo sono state di recente?
Di recente, a maggio, ho esposto al Castiglion Fiorentino Photo Fest 2024. Attualmente 4 mie fotografie sono esposte a Perugia per “Oikoumene”, presso SCD textile&art studio, e altre 5 foto sono a Gorizia per la collettiva “La perenne attesa”, che a settembre verrà portata a Nova Gorica in Slovenia.
Ad ottobre parteciperò con SATOR, il gruppo di cui faccio parte, al Festival di fotografia Narnimmaginaria di cui siamo anche gli organizzatori. A novembre e dicembre sarò in mostra a Capestrano (AQ), presso la Galleria d’arte “La dama di Capestrano”, in una doppia mostra fotografica insieme a mia moglie Maria Bottari.
Aquileia © Gianfranco Lunardo |
Quali progetti intravedi nel futuro per la tua attività fotografica?
Attualmente sto lavorando a fotografie sul mare che vorrei riprendere dalle coste di diverse Regioni italiane. Un’altra idea riguarda delle fotografie sull’Appia antica entro il Raccordo Anulare di Roma. Poi si vedrà, le idee vengono strada facendo.
Qual è il tuo rapporto con i social network? Pensi che siano utili a farti crescere come artista?
Sono abbastanza refrattario alla tecnologia e uso solo Instagram per postare le mie foto. Sarà per l’età ma proprio non riescono ad appassionarmi. Comunque, Instagram mi ha fatto conoscere ed entrare in contatto con tanti altri bravi fotografi, stenopeici e non, in tutto il mondo, con i quali scambio idee e materiali. Nell’ambito di Narnimmaginaria 2023, abbiamo invitato anche 3 fotografi stenopeici stranieri conosciuti proprio su Instagram. Con un paio di loro, in viaggio in Italia, mi sono anche incontrato e ne è venuta fuori una bella amicizia. Perciò, almeno per me, credo sia stato utile.
Agrigento © Gianfranco Lunardo |
Ringraziamo Gianfranco Lunardo per averci concesso l’intervista, se considerate i suoi lavori interessanti vi invitiamo a seguirlo tramite i suoi profili social.
Instagram: gianfrancolunardo
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